Chi sono: tentativi
Voglio lavorare nella costellazione di mistero e scoperta, come la poesia fa con le parole e il silenzio, perché è solo al cospetto dell'indefinito che l'immaginazione può operare, cioè raccogliere l'invisibile.
Dal 2012 sono conosciuta come Maraismara, ma sono Mara Bragaglia.
Bragaglia di Frosinone come Anton Giulio, Alberto e gli altri fratelli, ai quali non credo di essere imparentata fino al secolo scorso, ma sento comunque di dover portare omaggio ogni volta che mi presento.
Ho studiato e continuo a studiare filosofia.
Non credo nella fantasia, ma nell'immaginazione come possibilità di scoperta nelle fibre del reale e nel fatto che la creatività non è un dono, ma quello che ci accomuna tutti.
Per citare Alberto Bragaglia: "Bisogna credere alla visione interiore, alla integrità dell'animo umano."
Siamo massimamente sensibili al mondo, che ci viene incontro stupendoci con la meraviglia (thaumàzein) o donandoci il bello (èkphanestaton). Abbiamo bisogno di senso, così siamo sempre in cerca di significato e, allora, interroghiamo e moduliamo e riorganizziamo tutto quanto - incessantemente.
Amuleti e talismani, gli ornamenti più antichi, erano innanzitutto oggetti magici, un modo per rapportarsi a quello che sempre sfugge ed eccede. I nostri gioielli preferiti, poiché hanno a che fare con ricordi, promesse ed emozioni, aspirano alla medesima impresa.
Deve essere questa l'origine della mia fascinazione.
Sono nata nel 1992, ma quello che faccio comincia solo nel 2012 come spontaneo esercizio di creatività pratica coevo allo studio della filosofia.
L'approdo alla gioielleria etica è coinciso alla possibilità di utilizzare materiali preziosi ed è stato - e resterà per sempre - necessario, perché non si può concepire la bellezza come separata da ciò che è buono e da ciò che è vero: l'estetica ha bisogno di un adeguato analogo nell'etica.
Non esiste valore, senza valori positivi.
Non esistono estro e ingegno da celebrare, nella gioielleria, se si dimentica che ogni opera è possibile solo grazie al lavoro di chi è al principio delle filiere.
Non esiste alcuna "cosa bella", perché la bellezza è quella cosa che accade accanto alla cosa.
I gioielli che faccio non li disegno soltanto, ma li progetto e li realizzo per intero nel mio laboratorio utilizzando tecniche di oreficeria tradizionali e una commistione di pratiche e abitudini nate dall'approccio libresco, dalla libertà dell'autodidatta e dall'osservazione di maestri ad Anversa, Birmingham, Londra e Idar Oberstein.
Fondo, incido, taglio, lucido, incastono, intaglio, trasformo, smalto, scolpisco, ma sono sempre alla ricerca di qualcosa - fosse pure uno strumento - da sperimentare e studiare. Capire, apprezzare e rispettare i materiali e gli attrezzi è, per me, la condizione per ogni fare.
Le domande sull'etica sono radicali, non cambiano semplicemente i criteri di approvvigionamento e le modalità di progettazione e produzione.
Chiedersi l'origine di un materiale, sforzarsi di comprenderne le problematiche specifiche e intessere rapporti con persone altrimenti lontane, ci riporta al presente e mostra un concetto più autentico - forse rivoluzionario - di "prezioso".
Se, ad esempio, la fatica del minatore, il rischio per trovare quel materiale (comunque esso appaia), la storia delle comunità acquistano valore, allora può dirsi prezioso anche quello che resta fuori dal campo del consueto, delle classificazioni, delle vetrine imbellettate.
Un "prezioso" così è liberatorio e lascia spazio alla bellezza.
C'è un dialogo continuo tra il rumorio dei pensieri e ciò che da questo si concretizza. La parola, l'oggetto creato, torna indietro e dialoga di nuovo con il pensiero, arricchendolo. Ecco perché il lavoro non finisce mai.
Per qualcuno sono un'orafa ma, dopo anni ad armeggiare col fuoco e col carbone, sono più un'alchimista. In altre parole, un'autodidatta di quello che sta attorno.